martedì 22 luglio 2008

Volt, General Motors getta le basi per la diffusione dell'auto elettrica.

Qualche giorno fa ho detto la mia sul perché non ritengo una scelta saggia, oggi, utilizzare l'idrogeno nel mercato automobilistico (Vedi: 8 buoni motivi per non mettere l'idrogeno nella nostra auto, per il momento). Penso invece che la tecnologia per cominciare ad utilizzare auto elettriche sia matura e che si tratti solo di fare il primo passo.
Ci sono tuttavia ancora alcuni problemi. Uno di questi è il fatto che attualmente non è presente un'infrastruttura di rete adeguata. Ne sa qualcosa General Motors che ha appena annunciato una collaborazione con 30 delle più importanti utilities per rimediare al problema in 37 stati americani e 3 province canadesi. Il perché di questa scelta è infatti legato alla nuova Volt che dovrebbe entrare nel mercato nel 2010. GM sta infatti facendo accordi per spianarne la futura diffusione. Volt è un'auto di nuova concezione: la propulsione infatti è completamente affidata ad un motore elettrico e le batterie forniscono un autonomia di circa 65 Km (quanto basta per gli spostamenti quotidiani). E' poi presente un piccolo generatore a benzina che qualora dovesse esaurirsi la batteria fornirebbe elettricità per un ulteriore autonomia di circa 650 Km (permettendo così i lunghi viaggi che per le auto elettriche pure al momento sono un limite), tutto questo con 6-7 galloni di benzina (25 litri più o meno). Si tratta di un'idea completamente nuova rispetto alle auto ibride viste finora. Infatti in questo caso la propulsione deriverebbe interamente da un motore elettrico. In uno scenario come quello attuale, con la benzina divenuta molto costosa, il fatto di poter caricare l'auto nella presa della corrente di casa rappresenta una piccola rivoluzione (l'elettricità infatti a parità di Km percorsi è molto più economica della benzina). Un altro vantaggio è la drastica riduzione dell'inquinamento, compreso quello acustico.
A mio parere General Motors è una delle compagnie che maggiormente hanno intuito il potenziale business legato all'ecologia, basti pensare al fatto che nello stabilimento GM di Zaragosa in Spagna verrà installato il più grande impianto fotovoltaico mai montato sul tetto di un edificio.
Insomma si può dire che un po' alla volta le energie pulite stanno iniziando a fare i primi passi nel mercato automobilistico, e a supportarle non ci sono solamente democratici come Al Gore.
A riporre la propria fiducia sulla scelta di General Motors si aggiunge infatti anche il senatore repubblicano John McCain, egli afferma infatti che si tratta del futuro del mondo e che deve essere eliminata la dipendenza dal petrolio straniero. Da parte sua farà tutto il possibile affinché un esperimento come quello della Volt possa avere un grande successo.
Io intanto comincio ad essere veramente curioso per quel che riguarda l'ambito energetico dopo le prossime presidenziali americane. Son convinto del fatto che gli USA riserveranno delle belle sorprese.

Image: Minuk

lunedì 21 luglio 2008

Qualche pensiero su peak oil e biciclette.

Una delle cose che amavo di Londra era il fatto di potermi spostare per le strade pattinando senza rischiare di essere travolto da qualche guidatore indisciplinato. Ben radicata in quella città è l'idea che spostarsi con mezzi ecologici oltre che economico può essere anche cool. Succede così che nascono manifestazioni come le Critical Mass o le Naked Bike Ride per le biciclette. O la London Skate, la London Friday Night Skate e la Sunday Stroll per i pattini. A calcare la mano in questi giorni si aggiunge anche il sindaco che (nell'ambito dei 975 milioni di dollari che verranno spesi nei prossimi 10 anni per incitare le persone alle camminate e all'uso della bicicletta) ha annunciato l'estate della bicicletta, sta quindi incitando tutti i Londoners a saltare in sella, verranno attivate campagne ecologiche e potenziate le piste ciclabili. Oltre che una scelta ecologica e salutistica (basta pensare ai problemi legati al sovrappeso nelle nostre società consumiste) risulta essere anche un gran vantaggio in termini economici.
Si sussurra infatti di peak oil da molto tempo anche se l'argomento non è mai stato preso in considerazione dai media e nei discorsi ufficiali. Eppure non è un argomento molto difficile da capire, fondamentalmente la domanda di petrolio nel mondo sale, però i giacimenti sono sempre gli stessi o ne vengono scoperti sempre meno di nuovi. Ci si trova quindi con la domanda che aumenta e l'offerta che resta inchiodata li o addirittura diminuisce. Per questo motivo nei prossimi anni il costo del petrolio sarà destinato sempre ad aumentare e la cosa comincia a diventare ben problematica. Se n'è accorto bene Al Gore e l'ha esternato qualche giorno fa annunciando che è vitale che l'America nell'arco di 10 anni passi completamente a fonti di energia rinnovabili. Ma cominciano ad accorgersene anche alla Federal Reserve con un Ben Bernanke che, seppure non parli ancora di peak oil afferma che il prezzo del petrolio non diminuirà nei prossimi anni a causa di una stagnazione, ed in alcuni casi di un declino, della produzione.
Per quel che mi riguarda, so che saranno anni duri quelli a venire, ma sono ottimista e felice di sapere che, seppure per necessità, molta gente incomincerà a lasciare la macchina a casa e ad usare di più la bicicletta. Aria più pulita, corpi più sani e magari capitale sociale in aumento.
Per maggiori informazioni sul peak oil consiglio di visitare regolarmente il blog di ASPO-Italia.

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- Al Gore, Lomborg e le energie rinnovabili.


Image: Kenneth

venerdì 18 luglio 2008

Al Gore, Lomborg e le energie rinnovabili.

Ricordo che la copertina di quel libro ha subito attirato la mia attenzione quando la vidi fra gli scaffali di Foyles a Londra. Sto parlando di “The Skeptical Environmentalist”, si tratta di un libro di Björn Lomborg, uno studioso danese praticamente sconosciuto in Italia ma considerato una delle 100 persone più influenti del mondo dal Time Magazine e una delle 50 persone che potrebbe salvare il pianeta dal quotidiano Guardian. Credo seriamente che i suoi due libri dovrebbero essere letti da ogni singola persona che decida di interessarsi all'ambiente.
Il motivo per cui adoro questo studioso è la grande onestà intellettuale e il fatto che ogni sua singola informazione è supportata da pubblicazioni ufficiali (la prima volta che sfogliai The Skeptical Environmentalist rimasi sorpreso scoprendo che un terzo del libro era costituito da riferimenti bibliografici), andando poi a leggere i suoi scritti (scrive molto spesso anche sul Guardian) ci si accorge della grande obiettività che mette in quello di cui si occupa.
Come mai sto parlando di Lomborg? Beh, perché oggi leggendo i giornali ho scoperto che Al Gore ha appena affermato che la sua soluzione per superare la difficile crisi economica mondiale consiste nel passare ad un economia basata al 100 % sulle risorse rinnovabili. Gore ha sottolineato l'assurdità per gli USA di fare debiti con la Cina per acquistare petrolio dal Golfo Persico e distruggere il pianeta con gli inquinanti e la CO2 proveniente dall'utilizzo dei combustibili fossili. La nuova economia ecologica dovrebbe dare posti di lavoro, azzerare le emissioni, e contribuire a generare un mondo più pulito. Insomma si passerebbe da una logica di tagli delle emissioni come quella di Kyoto a una logica che colpisce il problema alla radice shiftando su energie pulite. Che dire? Sono assolutamente entusiasta per quello che ha detto, forse non sono così sicuro che sia possibile nell'arco di 10 anni (ci sono molti stakeholder a cui una vision del genere potrebbe non piacere affatto) ma penso sia possibilissimo, e in tempi relativamente brevi. Da oggi comincerò ufficialmente a tifare per Gore; Se devo esser sincero infatti non gli ho mai dato molto credito, certo è un fantastico comunicatore e sa raccogliere le masse (e forse è un po' quello di cui il mondo ha bisogno) ma il mio background scientifico mi impedisce di dar retta alle sue forzature catastrofistiche. Ora vi chiederete che c'entra Lomborg in tutto questo? Beh Lomborg da molto tempo spara a 0 sul protocollo di kyoto e sulla riduzione delle emissioni di CO2, reputa inefficace e dispendioso impegnarsi a ridurre le emissioni, egli suggerisce invece da molto tempo il passaggio a energie pulite. In sostanza le risorse economiche sono quelle che sono, e destinarle solo alla riduzione della CO2 lasciando perdere le altre sfide ambientali è uno spreco inutile, quando si potrebbe investire quei soldi in ricerca e in tecnologie a 0 emissioni, ottenendo un mondo più pulito e facendo diventare un fantasma del passato la parola Global Warming. Egli afferma che il vero problema del mondo non sono una serie di inconvenienti realtà, ma è il fatto che abbiamo bloccato lo sviluppo di soluzioni efficaci presi da un incontrollabile panico guidato da cattive politiche.
Per quel che mi riguarda sentire uno come Al Gore che afferma che è ora di buttarsi pesantemente sulle energie rinnovabili non può che farmi piacere. E sotto sotto penso che in fondo è quello che Lomborg diceva da un pezzo. Staremo a vedere come va il futuro. Intanto potete leggere due ottimi articoli del buon Björn che parlano di questo argomento pubblicati qualche giorno fa sul Guardian. Uno qui e uno qui. Qui sotto invece il bel discorso di Al Gore.



Image: Roland Peschetz

mercoledì 16 luglio 2008

8 buoni motivi per non mettere l'idrogeno nella nostra auto, per il momento.

Ultimamente sempre più spesso leggo i giornali e scopro che un sacco di gente sta diventando fan dell'idrogeno in ambito automobilistico. Certi lo chiamano l'energia pulita del futuro. Altri più realisticamente dicono che è solo un vettore. Ora, francamente a me l'idrogeno non piace per niente, questo con il beneficio del dubbio: potrebbe piacermi nel caso gli studi sulla produzione biologica si concretizzassero in una tecnologia reale e a basso costo.
Ma per il momento ho delle forti perplessità.


Riguardo la produzione:

  • Si può ricavare idrogeno dall'acqua, ma per farlo devo sfruttare l'elettrolisi e mi serve elettricità, e se ne spreca molta. Non è più semplice mettere quell'elettricità in una batteria?
  • Posso ricavarlo da combustibili fossili con gas serra come sottoprodotto; ma non avevamo detto che dovevamo cercare di smettere di usarli questo tipo di combustibili? E poi per questo processo mi serve comunque calore, quindi energia. Non era più semplice metterla in una batteria?
Riguardo lo stoccaggio:
  • Posso stoccarlo in forma gassosa dentro bomboloni, ma per farlo devo comprimerlo, e in questo caso userei moltissima energia (che potrei usare per caricare una batteria) per farlo. E, per ottenere lo stesso risultato di 1 litro di benzina mi servirebbero circa 3 metri cubi di idrogeno. Un bombolone industriale da 50 litri a 200 atmosfere di pressione contiene circa 10 metri cubi di idrogeno. Ovvero la stessa energia che si trovano in 3 litri abbondanti di benzina.
  • Posso usare l'idrogeno liquido, ma per farlo devo comprimerlo, sprecando energia (che potrei usare per caricare una batteria). A questo punto più che serbatoio mi serve un thermos. Affinché l'idrogeno resti liquido devo tenerlo al di sotto dei -253 gradi centigradi. La fregatura è che per quanto isolato sia il mio contenitore criogenico un po' di calore lo conduce. L'idrogeno si trasforma perciò un po' alla volta in gas e in una decina di giorni mi trovo con il thermos vuoto. Più o meno come viaggiare con un automobile con il serbatoio bucato.
  • Posso stoccarlo in idruri metallici. Il problema però in questo caso è che per tirarlo poi fuori mi serve calore. E per produrre calore mi serve energia (che potrei usare per caricare una batteria) che vado a buttare.
Riguardo la sicurezza:
  • L'idrogeno ha il brutto vizio di rendere fragili i metalli. Una batteria invece se ne sta buona e non si prende certe libertà.
  • Nel caso di incidente: stiamo parlando di un gas molto infiammabile. Fa sempre un certo effetto vedere le foto del Hindenburg in fiamme. Una batteria non scoppia come una bomba se gli avvicini un cerino.
Riguardo l'ambiente:
Qui una ottima analisi in italiano sull'argomento.
Qui un approfondimento in inglese sull'argomento.

PS: si è capito che pendo di più per i motori elettrici attaccati a moderne batterie?

Image: Dan Perry

martedì 15 luglio 2008

Reti energetiche.

Poco tempo fa Mozilla ha rilasciato il nuovo Firefox 3 in un modo abbastanza plateale: si è infatti cercato (con successo) di stabilire un nuovo record, il numero massimo di download di un programma in un giorno. Io, da buon fan del volpino, non potevo che partecipare entusiasta all'evento. Fin qui tutto bene, se non fosse per il fatto che alle sette di sera (ora prevista per l'inizio del download) i server erano intasatissimi e ho potuto scaricare il programma solamente qualche ora dopo. Se invece la distribuzione del programma fosse stata affidata a un qualsiasi sistema di P2P tutto sarebbe andato liscio: in una rete P2P infatti più gente scarica quel file (e quindi più gente lo mette in condivisione), più quel file diventa disponibile e facile da scaricare, e se per caso qualcuno si sconnette, la sua assenza non influenzerebbe il funzionamento del download, essendo questo infatti legato a migliaia di persone diverse.
Questo ci insegna che un sistema di distribuzione a rete è molto più sicuro e stabile di un sistema basato su di un nodo di smistamento centrale e migliaia di macchine dipendenti da questo. Se infatti a causa di un qualsiasi evento imprevisto il nodo non fosse raggiungibile non si potrebbe fare altro che attendere passivamente che qualcuno intervenga a risolvere il problema.
Immaginiamo ora la stessa cosa applicata all'elettricità. Preferireste vedere una centrale elettrica di grande potenza con tutte le utenze attaccate? Oppure, tante case con il tetto fatto di pannelli solari collegate fra loro a rete? Provate a immaginare cosa succederebbe nel caso di una catastrofe naturale o di un guasto alla centrale o di un qualsiasi altro evento imprevisto che provochi un blocco. Provate invece a immaginare cosa succederebbe se avvenisse un guasto ad un singolo impianto di una singola cellula di un sistema a rete. Quale dei due sistemi sarebbe più stabile?
Ultimamente si parla di ritorno al nucleare, sappiamo che costicchia abbastanza e non sarebbe disponibile subito. Mi chiedo, ma se quei miliardi di euro per una centrale venissero stanziati per rendere energicamente efficienti le abitazioni, e per trasformarle in mini-centrali con pannelli solari? Non ci troveremmo con un sistema più stabile, meno soggetto a blackout, più pulito, disponibile subito, e che non richiede materie prime pericolose?
Un'ultima considerazione puramente pratica. Il signor Rossi possiede 50 euro e vuole regalare alla moglie un set di pentole che costa 500 euro. Ha 2 possibilità: o compra a rate il set di pentole, indebitandosi e finendo per pagarlo il doppio; oppure compra una sola pentola con i 50 euro che ha, riservandosi poi di comprare il resto del set quando avrà i soldi. Nel primo caso la moglie sarà contenta all'inizio, ma lo sarà meno quando vedrà che è uscito un nuovo modello di saltapasta più funzionale e lei sarà costretta ad usar quello vecchio, che non ha ancora finito di pagare, e che grazie al finanziamento alla fine avrà pagato il doppio. Se invece il signor Rossi compra una pentola sola, la moglie inizierà da subito ad usarla, e quando avrà i soldi per comprare una nuova pentola, l'evoluzione tecnica avrà fatto si che il nuovo modello sia più efficiente e magari con un costo inferiore.
Immaginiamo ora che si tratti di energia e non di pentole. Meglio un gran debito per comprare qualcosa di grande che diventerà obsoleto dopo pochi anni? O tanti piccoli investimenti diluiti nel tempo utilizzabili da subito, e che consentono di avere un sistema mai obsoleto?

Image: Diana Blackwell

lunedì 14 luglio 2008

Souvenir da Marte.

Ci sono alcuni eventi di interesse mondiale che lasciano il segno nelle persone, eventi che uniscono e ci spingono a rimanere attaccati agli schermi del televisore per sapere come va a finire. Uno degli avvenimenti che ha rapito maggiormente il mio interesse è stata la missione Pathfinder. Era il 1997 e stava atterrando su Marte una sonda di nuova concezione, possiamo dire che si trattava di un viaggio verso Marte low-cost. Le precedenti missioni che avevano portato oggetti terrestri sulla superficie marziana infatti erano molto costose e questa piccola sonda stava rivoluzionando il mondo dell'esplorazione extraterrestre. La concezione era innovativa, la sonda entrava in atmosfera direttamente, ad un certo punto si apriva un paracadute a rallentare la discesa, e poco prima dell'impatto venivano gonfiati degli airbag che andavano ad attutire l'impatto. A questo punto la sonda si divideva in 2 parti: un lander che rimaneva fisso nel punto di atterraggio e che comunicava con la terra, e un piccolo rover (Sojourner) che esplorava il suono marziano facendo analisi e fotografie. La missione avrebbe dovuto durare un periodo tra una settimana e un mese, tuttavia il sistema si rivelò talmente efficace che Pathfinder continuò ad inviare dati per circa tre mesi.
Ci sono state altre missioni dopo di questa. L'ultima sonda (Phoenix Mars Lander) è atterrata sul suolo marziano il 25 maggio 2008, tuttavia bisogna render merito a Pathfinder di aver aperto un nuovo capitolo dell'esplorazione marziana.
A questo punto il passo successivo sarebbe riuscire a far atterrare una sonda e farla tornare indietro con qualche souvenir marziano con se (rocce e, magari, qualche forma di vita microscopica). Stanno iniziando a pensarci seriamente un gruppo di scienziati internazionali con una missione che dovrebbe avvenire tra il 2018 e il 2023. Il costo di una missione del genere è altissimo (più di 8 miliardi di dollari) e per realizzarla sarebbero richieste competenze e fondi della NASA, dell'Agenzia Spaziale Europea e di altre agenzie nazionali. Una missione di questo tipo sarebbe fondamentale per dimostrare la fattibilità di far atterrare qualcosa su suono marziano e riuscire anche a riportarlo indietro. Diventa perciò un passo indispensabile per aprire le porte ad un futuro atterraggio umano sul pianeta rosso.
L'idea sarebbe di inviare 2 diverse sonde: un “lander composite” e un "orbiter composite". Il lander andrebbe ad atterrare sulla superficie marziana, a questo punto libererebbe un rover che andrebbe a prelevare campioni di roccia e di atmosfera marziana. Una volta prelevati questi verrebbero trasferiti in un contenitore isolato all'interno di una parte del lander (Mars Ascent Vehicle) che decollerebbe e andrebbe a congiungersi all'orbiter. L'orbiter inizierebbe ora il tragitto di ritorno e porterebbe i campioni prelevati sulla Terra dove verrebbero immediatamente trasferiti in un laboratorio di massima sicurezza al fine di essere analizzati e trovare eventuali forme di vita.
Maggiori informazioni in questo bell'articolo del Guardian. Per quel che mi riguarda spero che tutto vada in porto e poter nuovamente rimanere incollato al televisore nel seguire le vicende di queste eroiche sonde esploratrici.

Image: Bluedharma

domenica 13 luglio 2008

Atlantide.

Secondo la leggenda Atlantide era un isola più grande della Libia e dell'Asia messe insieme. Il suo nome deriva da quello del primo monarca a governarla, Atlante, figlio di Poseidone e Clito, una ragazza dell'isola. Questa città leggendaria avrebbe dovuto trovarsi nell'Oceano Atlantico e si dice essere stata distrutta da un maremoto 10-15000 anni fa.
Alzi la mano chi non ha sognato almeno una volta il mito di Atlantide. Lyon Sprague de Camp rende benissimo l'idea dicendo: “La ricerca di Atlantide colpisce le corde più profonde del cuore per il senso della malinconica perdita di una cosa meravigliosa, una perfezione felice che un tempo apparteneva al genere umano. E così risveglia quella speranza che quasi tutti noi portiamo dentro: la speranza tante volte accarezzata e tante volte delusa che certamente chissà dove, chissà quando, possa esistere una terra di pace e di abbondanza, di bellezza e di giustizia, dove noi, da quelle povere creature che siamo, potremmo essere felici...”
Questa speranza oggi ci appare un po' meno remota. L'architetto belga Vincent Callebaut ha infatti progettato Lilypad, un ecopoli galleggiante per le vittime del Global Warming e dell'innalzamento del livello acquatico degli oceani. Lilypad è un prototipo di città anfibia completamente autosufficiente, con delle aree distinte dedicate al lavoro, al divertimento e allo shopping. Al centro della struttura una laguna artificiale dove generare biodiversità e intorno montagne. La città dovrebbe ospitare 50000 abitanti e produrre più energia di quella che consuma grazie a una combinazione di tecnologie energetiche rinnovabili (solare, eolico, idraulico, dalle biomasse, ecc.). Di certo si tratta di un ottimo esercizio di design, ma è anche sintomo del fatto che qualcosa sta iniziando a muoversi nella direzione giusta e che forse in futuro un riappacificamento con la natura è ancora possibile. Personalmente penso che da oggi sognerò più spesso di vivere in una città leggendaria come Atlantide.
Altamente consigliato andare a visitare il sito del progetto per rimanere incantati di fronte alle magnifiche fotografie di Lilypad.

Image: Eugenio Azzola

sabato 12 luglio 2008

Ricerche improbabili.

102 anni fa esatti (12 luglio 1906) a Queenscliff, in Australia, i negozi erano chiusi, la banda suonava e 2000 persone attendevano fiduciose. Si trattava dei primi esperimenti col telegrafo senza fili e questo era un evento importante perché avrebbe dovuto arrivare un messaggio inviato da Devonport, In Tasmania, 353 km più a sud; era una bella distanza per quel periodo ma era anche il primo messaggio di quel tipo inviato così lontano nell'emisfero sud. Per la verità il telegrafo senza fili era già noto da un pezzo, il primo segnale infatti era stato lanciato 10 anni prima in Italia, da un poco più che ventenne Guglielmo Marconi. Sfortunatamente per lui al governo italiano non interessò per niente la cosa, per cui fece quello che fanno tuttora molti giovani promettenti: se ne andò in Inghilterra, fondò una società di successo con capitali inglesi, nel 1909 vinse il Nobel per la fisica e nel 1920 trasmise dalla sua radio il primo concerto di musica classica.
I primi telegrafi senza fili utilizzavano un'antenna di oltre 30 metri di altezza, potevano inviare messaggi non molto lontano e costavano un sacco di soldi. Oggi, circa un secolo dopo, possiamo leggere un quotidiano online, sfruttando una piccola rete wireless domestica che funziona trasmettendo via radio, e scoprire che la Bic ha iniziato la commercializzazione di un cellulare Low-Cost: 49 euro per un aggeggio grande pochi centimetri che ci permette di parlare con chiunque nel mondo, ovunque ci si trovi.
So che sono anni difficili e che la ricerca scientifica è una cosa incerta e costosa, governata da scienziati dall'aspetto e dalle abitudini eccentriche, ma mi piacerebbe che chi possiede i mezzi per finanziarla riflettesse un momento sul fatto che il suo stile di vita attuale lo deve a chi 100 anni fa ha investito denaro in ricerche allora improbabili; e non è cosa da poco prendere un'aspirina ai primi segni di influenza e guarire, invece che farsi riempire di sanguisughe da medici improbabili, allo scopo di levare dal corpo gli umori putredinosi, e pregare per un riscontro positivo.
Suvvia, sappiamo tutti qual è la cosa giusta da fare.

Image: Mrbill

venerdì 11 luglio 2008

Lì dove soffia il vento.

Se vi capitasse di fare due passi per il porto di Las Palmas verso novembre molto probabilmente vedreste un gran fervore di preparativi, e scoprireste che esiste un intero popolo di giramondo in barca a vela. Centinaia di barche a vela che si preparano per attraversare l'oceano Atlantico facendosi dare un passaggio dagli Alisei, ovvero venti costanti che dalla notte dei tempi hanno portato ogni genere di imbarcazione a propulsione eolica verso ovest. Non sono altro che una sorta di autostrada per barche a vela. Basta presentarsi alle Canarie a novembre, alzare le vele, ed arrivare dopo una ventina di giorni con il vento in poppa ai Caraibi, a quel punto basterebbe entrare in qualche taverna locale, ordinare un Mojito e celebrare degnamente la fine della stagione dei cicloni. Traversata tranquilla, venti costanti e mare calmo. Tutto questo perché la natura sotto alcuni punti di vista è prevedibile. Tanto prevedibile che, un giorno del lontano 1855, a un brillante ufficiale della marina americana venne in mente che ci si poteva ricavare delle cartine geografiche che rappresentassero le probabili condizioni meteo-marine di quel periodo. Aveva inventato le Pilot Charts. Queste forniscono moltissime informazioni, in una forma molto immediata: c'è una mappa con una griglia disegnata sopra, e in ogni quadretto di questa griglia ci sono le informazioni importanti di quell'area. In questo modo se un giramondo legge nella Pilot Chart che in quel determinato periodo dell'anno, in quel determinato punto c'è il 99% di probabilità di trovare delle condizioni stile “Tempesta Perfetta”, non farà altro che evitare di passare da lì. Queste magiche carte fanno anche di meglio, evidenziano il percorso da fare e il periodo per farlo per essere ragionevolmente certi di trovare bel tempo in ogni momento.
Ora facciamo un passo avanti. Nel 1999 la NASA ha lanciato in orbita il satellite QuikSCAT; questo satellite da quel giorno ha raccolto dati riguardanti la velocità, la direzione e la forza del vento negli oceani. Questo permette quotidianamente di migliorare la qualità delle previsioni del tempo e di identificare sul nascere uragani e fenomeni potenzialmente catastrofici. In questo modo è possibile sapere con precisione chirurgica in quali zone degli oceani il vento soffia con forza, ma soprattutto costantemente. Come mai costantemente? Perché se si volesse metterci un generatore eolico questo non funzionerebbe in modo efficiente con un vento a singhiozzo.
Ma arriviamo al punto: la NASA ha appena dichiarato di aver creato una mappa con i migliori luoghi negli oceani dove posizionare enormi centrali eoliche off-shore. E ci dice anche che se posizioniamo queste centrali in questi luoghi strategici il vento potrebbe donarci il 10-15% di tutta l'energia che il mondo richiede. Lontano dagli occhi e lontano dalle orecchie.
Alla fine è la natura stessa a suggerirci le cose.
Per maggiori dettagli sul progetto e per sapere dove trovare venti estremi fate un salto qui.

Image: Morten A. Mitchell Larød

giovedì 10 luglio 2008

Ecco come ti libero dall'anidride carbonica!

“Beh, è ovvio, come mai non ci sono arrivati prima?” avrà pensato il corallo che da sempre utilizza la CO2 per farsi la casa di carbonato di calcio. Un passo indietro, di cosa sto parlando? Beh, si dice in giro che il mondo si sta scaldando, e secondo molti cervelloni che si occupano di queste cose l'uomo, con le sue emissioni di CO2, tanto innocente non è. Ora, sarebbe cosa buona cominciare a fare qualcosa per rimediare; personalmente credo che il problema andrebbe affrontato alla radice spostandoci verso l'utilizzo di fonti di energia rinnovabili: perché investire in tecnologie di filtraggio o riduzione della CO2, quando posso usare energia solare o eolica con 0 emissioni? Ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare e bisogna inventarsi qualcosa per tirare avanti fino al giorno in cui smetteremo di bruciare combustibili fossili. Tempo fa è stata proposta una soluzione: prendere la CO2 che produciamo, e stoccarla da qualche parte dove non fa danni. Ad esempio sotto terra o nelle profondità oceaniche. Per la verità sotto molti punti di vista non si tratta di un'idea molto brillante e il perché ce lo spiega Greenpeace qui. Ma ecco che arrivano le buone notizie. Se fosse vero e tutto funzionasse bene come spiegato nel sito della Carbon Sciences, Inc. che ha portato avanti questa tecnologia, ci troveremmo di fronte ad un'idea semplice ed efficace: trasformare la CO2 in PCC, ovvero Carbonato di Calcio Precipitato (utilizzato oggi moltissimo nell'industria della carta), un po' quello che fanno da sempre i coralli. Si aprirebbe quindi una nuova via per stoccare la CO2 e, non solo non ci sarebbero rischi per l'ambiente e per le persone, ma ci sarebbe anche un ritorno economico legato alla vendita del PCC.
Alla fine, val la pena essere ottimisti :D

mercoledì 9 luglio 2008

Coralli, buone notizie!

Correva l'anno 1770, era l'11 giugno a voler esser precisi, quando il brigantino Endeavour che costeggiava l'Australia si incagliò, a bordo c'erano il capitano James Cook e il naturalista Joseph Banks: avevano appena cozzato la prua contro la Grande Barriera Corallina, ovvero la più grande struttura vivente attualmente esistente.
Probabilmente i due devono essersi chiesti cos'era e da dove saltava fuori quella strana formazione che aveva quasi sfasciato loro la barca. In verità i responsabili sono miliardi di polipi del corallo con l'hobby dell'edilizia che vivono in simbiosi con miliardi di alghe (Zooxanthellae). Le alghe danno nutrimento ai polipi e hanno un ruolo vitale nel processo di deposizione del calcare che andrà poi a formare lo scheletro rigido che noi vediamo. I polipi in cambio forniscono alle alghe azoto e fosforo per la fotosintesi, oltre ovviamente alla protezione. Si tratta di un ecosistema molto delicato e la capacità dello stesso di reagire e adattarsi all'inquinamento e ai cambiamenti climatici è incerta (vedi Coral Reef Bleaching).
Tuttavia ogni tanto le buone notizie non mancano: i ricercatori di Conservation International, dell'Università Federale di Espírito Santo e dell'Università Federale di Bahia hanno annunciato (l'8 luglio all'International Coral Reef Symposium a Fort Lauderdale) la scoperta di una nuova barriera corallina al largo della costa meridionale del Brasile, nello stato di Bahia. Il reef appena inidividuato è stato mappato con l'utilizzo di un sonar a scansione laterale ed è stimato essere grande il doppio rispetto al più ricco e vasto banco corallino presente nelle acque dell'Oceano Atlantico meridionale (Abrolhos Bank).
La barriera risulta essere in ottima salute e brulicante di vita e presto si avvierà la seconda parte del progetto riguardante lo studio della flora e della fauna dell'ecosistema.
Ben vengano scoperte come questa.


Fonte: Conservation International
Image: Justin Wong

martedì 8 luglio 2008

Crociere scientifiche.

Era il 27 dicembre 1831 quando l'H.M.S. Beagle lasciò Devonport con una rotta che l'avrebbe dovuto portare di lì a poco alle Canarie. A bordo vi era un simpatico ragazzotto amante della natura di nome Charles. Per la verità la sua presenza era rimasta alquanto incerta fino a poco tempo prima, si narra infatti che il padre glielo avesse proibito: eravamo nel 1800 e anche allora come oggi i genitori incitavano i figli a mollare i loro pensieri strampalati in favore di un lavoro fisso e di una pagnotta assicurata. Fortunatamente, grazie alle capacità di mediazione del buon zio Jos, quel giovane 22 enne riuscì a imbarcarsi sul Beagle e a soffrire di mal di mare per buona parte del viaggio che lo avrebbe portato, nell'arco di 5 anni, a circumnavigare il Sud America, l’Australia, la Nuova Zelanda e il Sud Africa; tutto questo passando per le Galapagos. Quel ragazzo era Charles Darwin e un po' di anni dopo avrebbe scritto nella sua autobiografia che a spingerlo a intraprendere quel viaggio è stato “il desiderio bruciante di aggiungere foss’anche un contributo modesto al nobile edificio delle scienze della natura”... O forse semplicemente era la voglia di realizzare un vecchio sogno di andare alle Canarie a spassarsela in un ambiente ancora incontaminato. Questo ci dimostra che dalle idee strampalate di un giovane sognatore può nascere qualcosa di buono, e che la curiosità verso il mondo che ci circonda è il motore che spinge l'umanità ad evolvere. Per quel che mi riguarda, spero in futuro di poter navigare verso lidi remoti e ancora incontaminati; nel frattempo, fino a che non avrò i mezzi per farlo, cercherò di aggiungere il mio piccolo contributo alle scienze divulgando attraverso un blog quel poco che so.